1 Giugno 2019 Teatro della Gioventù Genova , ore 20.30  Simone Pedroni, pianoforte

DEBUSSY Prèludes (Premier livre)

  1. Danseuses de Delphes
  2. Voiles
  3. Le vent dans la plaine
  4. ‘Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir’
  5. Les collines d’Anacapri
  6. Des pas sur la neige
  7. Ce qu’a vu le vent d’Ouest
  8. La fille aux cheveux de lin
  9. La sérénade interrompue
  10. La Cathédrale engloutie
  11. La danse de Puck
  12. Minstrels

***

LISZT Funérailles (da « Harmonies Poétiques et Religieuses »)

ROTA Trascrizioni da concerto

– Il Padrino

– Romeo e Giulietta

– 8 e 1/2

IL PIANOFORTE E L’ISPIRAZIONE EXTRAMUSICALE

Caro ascoltatore,

il programma che ti propongo stasera non segue un particolare filo conduttore che accomuna i brani presentati. Non quindi la struttura, non il genere o le tematiche che spesso sono sottese, nascoste e note solo alle menti geniali dei compositori, accomunano le opere che ti eseguirò.

Tuttavia autori così diversi tra loro come Debussy, Liszt e Rota hanno tutti e tre battuto, ognuno con una propria originalissima soluzione espressiva, la strada della cosiddetta “musica a programma”, declinata in Debussy e in Rota anche come “musica di ispirazione extramusicale”.

L’annosa, aspra diatriba tra musica pura (o assoluta) e musica a programma è deflagrata nel XIX secolo in una vera e propria guerra di intenzioni, con due eserciti schierati ognuno con le proprie ragioni di supremazia.

Claude Debussy in fondo può però essere ascritto ad entrambi gli schieramenti. Infatti come i pittori definiti “impressionisti” rifiutavano questo appellativo ritenendolo riduttivo, così anche Debussy andava fiero di essere musicista “puro”, pur avendo i suoi brani spesso dei titoli che in realtà trovano una estrinsecazione sonora di quel che sembrano riferire o descrivere i titoli stessi.

È risaputo che Debussy aveva a volte un modo bizzarro per attribuire un titolo ai suoi brani. Egli era solito radunare gli amici più fidati (esiste anche un celebre dipinto che lo raffigura in questo frangente), suonare una nuova composizione e poi chiedere loro che titolo avrebbero gradito per essa, quasi come a voler ribadire l’origine “pura” dell’idea musicale.

Se il pianismo del Primo Libro dei Preludi con le sue ammalianti, coloratissime e sfavillanti soluzioni sonore evocanti spesso elementi extramusicali come il suono delle campane, lo scorrere dell’acqua o il soffiare del vento, si pone come ricapitolazione storica del pezzo di carattere, dall’altro i titoli così peculiari devono comunque non essere intesi in senso descrittivo. Ad esempio il n.1 Danseuses de Delphes: l’autore si riferisce ad un bassorilievo greco o all’evocazione di una ideale danza antica? Oppure il n.2 Voiles: nessuno sa se l’autore intendesse vele o veli (la lingua francese utilizza lo stesso sostantivo per entrambi i significati). Ma l’indizio che più ci guida sulla non importanza dei titoli è lo stesso Debussy. Nell’edizione a stampa infatti ogni Preludio non ha titolo ma solo la numerazione. Il titolo è collocato alla fine del brano, sotto l’ultima battuta, tra parentesi e con tre punti di sospensione.

Per cui, anche se hai il programma tra le mani, ti invito, se lo desideri, a seguire l’intento debussyano: ascolta il Preludio e poi leggine il titolo. Un ascolto davvero “filologico” di questa straordinaria raccolta.

Funérailles di Franz Liszt appartiene invece alla più pura musica a programma. Con questo termine non bisogna però pensare che il brano “descriva” nei dettagli ciò che si intende rappresentare in musica, ma che si colloca invece sul versante del grande affresco sonoro, assimilabile al Poema Sinfonico, di cui Liszt è l’inventore.

Tratto da un’ampia raccolta intitolata singolarmente “Harmonies poétiques et religieuses”, Funérailles non sembra far riferimento a nessuno dei due aggettivi attribuiti alla raccolta. Il sottotitolo “Ottobre 1849” fa memoria invece della eroica rivolta ungherese sanguinosamente repressa dagli Asburgo.

Funérailles è stato per molti anni un brano eseguitissimo, ma recentemente sembra essere molto meno presente che in passato nei programmi. È uno dei pezzi più poeticamente perfetti di Liszt e anche uno dei più originali per invenzione timbrica, come ad esempio la dissonanza delle campane a morto evocate nel registro basso del pianoforte che aprono la prima sezione del brano. Una lugubre marcia funebre, che rappresenta il vero funerale del titolo ma che può anche essere intesa simbolicamente come l’espressione di un fortissimo dolore interiore, cede il passo alla seconda sezione in cui si ode un canto quasi amoroso, segno dell’affetto e dell’attaccamento di Liszt all’Ungheria e agli amici che aveva perso nella rivolta. La terza sezione evoca invece la battaglia con i due schieramenti che sembrano avanzare sommessamente da lontano per poi scontrarsi fragorosamente. La ripresa in fortissimo della marcia funebre segna l’esito disastroso per gli ungheresi. Un ultimo sussurro del tema amoroso si risolve però con sorpresa nella coda, in cui la speranza pare essere conservata nei cuori con una cavalcata repentina verso il pianissimo finale.

Le tre Trascrizioni da Concerto da film musicati da Nino Rota hanno una singolare origine. Il Padrino e 8 e ½ sono tratte da una registrazione dal vivo di un concerto pianistico in cui Rota suona se stesso. Non sono mai state pubblicate, per cui ne ho personalmente curato la trascrizione. Romeo e Giulietta si rifà invece alla scena finale del dramma dei due giovani amanti, così ben rappresentato dal film di Franco Zeffirelli. I tre brani eseguiti senza soluzione di continuità offrono un ampio specimen del variegato linguaggio rotiano, abilissimo nel passare dal tragico al gioioso e dall’ironico al malinconico.

Perdura ancora oggi una certa altezzosità critica nel considerare la musica da film come musica di serie B. Tuttavia è ormai storicamente passato il periodo che definiva Rota come un “cinematografaro” e oggi siamo di fronte in tutto il mondo ad una nuova fase in cui la musica da film si è lentamente e faticosamente guadagnata il posto d’onore della sala da concerto, una sorta di Renaissance portata avanti anche da direttori d’orchestra del calibro di Gustavo Dudamel, Simon Rattle o Stefan Denéve.

Naturalmente si parla di “grande musica” da film quando a comporla è anche un “grande compositore”.

Nino Rota, come nel nostro tempo Ennio Morricone o John Williams, sono autentici compositori in grado di scrivere opere da concerto di altissimo livello e si impegnano in questa relativamente nuova disciplina della musica applicata con la stessa passione, serietà e professionalità necessarie per la musica pura. Non è cosa facile, né scontata dare anima a delle immagini che senza quei suoni resterebbero insignificanti, per esaltarne in qualche modo il potenziale narrativo ed espressivo. Nino Rota, inoltre, non ha mai fatto mistero di considerare la musica pura al pari della musica applicata, anzi il linguaggio che Rota utilizza nelle sue opere non stabilisce una differenza lessicale tra i due generi: spesso infatti Rota fa uso per i suoi brani da concerto di temi utilizzati precedentemente per un film e viceversa.

Ti lascio con due considerazioni che sono ormai evidenza. Il film nel XX secolo è divenuto un genere altrettanto popolare come nel XIX secolo lo era il melodramma, in più ci sono almeno tre generazioni di persone che mai hanno frequentato la sala da concerto e che hanno conosciuto per mezzo del cinema il suono di un’orchestra sinfonica.

Mi sembrano due valori sociali grandissimi che meritano il successo ed il nostro favore: una ricchezza che ci apre a confini forieri, credo, di riscoperte inaspettate.

Buon ascolto!

Simone Pedroni